Interviste

CHITARRA ACUSTICA – febbraio 2014 – di Andrea Carpi

CANTI LONTANI NEL TEMPO – Intervista a Franco Morone e Raffaella Luna

Con il suo album “Italian Fingerstyle Guitar” del 2005, Franco Morone ha delineato importanti punti di riferimento per l’arrangiamento della musica popolare tradizionale italiana sulla chitarra acustica sola. Ha saputo infondere a quel repertorio un’unità stilistica che si amalgama sapientemente con il proprio gusto e personalità musicale. Un’unità che parte dalla consuetudine con le accordature aperte, a lui familiari fin dai suoi inizi nel campo del blues acustico e che si definisce ancor più precisamente nell’uso di accordature modali, di tecniche elaborate per l’abbellimento della melodia e di elementi contrappuntistici, che gli derivano dalle successive frequentazioni con la musica celto-britannica. Oggi, in questo “Canti Lontani nel Tempo” realizzato insieme alla voce di Raffaella Luna, l’approccio a quel repertorio compie un ulteriore passo avanti nella dimensione più totale del canto con accompagnamento di chitarra, facendo tesoro della precedente esperienza comune di “Songs We Love” del 2008, nella quale Franco e Raffaella avevano trovato il proprio equilibrio misurandosi con un repertorio contemporaneo internazionale e in parte originale di varia natura. Parallelamente, Franco ha anche pubblicato una nuova antologia di suoi spartiti con CD allegato, della serie “10 Original Compositions” edita da Fingerpicking.net, ad appena un anno di distanza dal precedente CD antologico “Back to My Best”, nel quale aveva reinterpretato una selezione di suoi brani storici. Di questi due nuovi lavori abbiamo parlato con Franco e Raffaella, appena ristabilitisi per fortuna da una pericolosa avventura con le esalazioni della caldaia di casa. Siamo felicissimi di averli ritrovati in perfetta forma.

Dopo due dischi come Italian Fingerstyle Guitar e Songs We Love, in effetti era atteso un album come Canti Lontani nel Tempo. Come sono confluite nel nuovo album quelle due esperienze e, più in generale, i vostri precedenti percorsi musicali?

Franco: Spero che l’attesa sia stata ripagata! In effetti, prima dell’uscita del CD, già avevamo anticipato dal vivo alcuni di questi Canti Lontani. I due album precedenti sono state esperienze che hanno reso possibile questo nuovo lavoro. Ma già durante la preparazione di Italian Fingerstyle c’era stata occasione, con Raffaella, di provare alcune di queste melodie, sai, nei dopocena con gli amici o durante i workshop: anche se il progetto di Italian Fingerstyle era tutto strumentale, lei ha seguito questo lavoro. E anche Canti Lontani nel Tempo si pone l’obiettivo di adattare la musica tradizionale alla chitarra acustica, quindi di estendere il repertorio chitarristico legato al folk italiano. Con la presenza del canto tutto si sviluppa in maniera più fluida, perchè è molto più impegnativo rendere un brano cantato in versione strumentale. L’esperienza del duo poi è iniziata con le cover di Songs We Love: ci sono canzoni bellissime con le sonorità delle open tuning. Con la presenza della voce, la chitarra ha una maggiore libertà e ampiezza di intervento, non dovendo eseguire la melodia principale; quindi in ogni brano più disegnare figure ritmico-armoniche o semplicemente tappeti sonori intorno alla voce.

Raffaella: Al pari di Songs We Love per me è stato fondamentale il lavoro di preparazione e di registrazione in studio. Ho condiviso con Franco tutti i passaggi di prima stesura con le varie modificazioni, che man mano hanno portato al risultato finale: è stato bellissimo veder nascere tutto il progetto. In questo CD c’è stata molta più ricerca sul campo. La nostra musica tradizionale, a differenza delle cover, la senti in maniera più familiare e quindi il senso di appartenenza di ogni brano te lo senti sottopelle.

Quali sono stati i criteri che avete seguito nella scelta del repertorio?

Franco: Il criterio prevalente è stato quello di privilegiare contenuti che ci sembrassero i più significativi. Ci sono quattro titoli che erano già presenti in Italian Fingerstyle, come “Mamma mia dammi cento lire”, “Non potho reposare”, “Bella ciao”, e “Donna lombarda”: per adattarli al canto ho modificato la tonalità e quindi l’arrangiamento. Abbiamo preferito non confinare la scelta dentro criteri rigidamente territoriali o regionali. Certo, viste le origini veneto-piemontesi di Raffaella, abbiamo dato la precedenza a canti provenienti da quest’area: “La bergera”, “Un bel giorno andando in Francia”, “La turineysa”, “La fiola del paisan”, “Siamo tre sorelle”, “Sotto l’albero del Piemonte”…

Raffaella: Nella scelta dei brani abbiamo privilegiato anche i contenuti del testo, scegliendo alcune pagine storiche del canto partigiano come “E quei briganti neri”, poi un canto risalente alla prima guerra come “Era una notte che pioveva”. In qualche caso abbiamo ripreso tradizionali proposti in passato da gruppi di folk revival italiano, come “Nella Maremma là”, “Rusinot” e “Prinsi Raimund”, perché semplicemente ci emozionavano nel loro complesso.

Nella sua precedente intervista a cura di Mario Giovannini su Chitarra Acustica di Ottobre 2012, Franco aveva annunciato, un pò scherzosamente : “Sarà una raccolta di canzoni prevalentemente settentrionali viste le origini di Raffaella; sarebbe bello fare anche qualcosa di abruzzese, ma dovrei darle delle lezioni di dialetto”… In effetti le scelte sono rimaste orientate soprattutto verso il Nord Italia: ma i motivi sono solo quelli enunciati da Franco?

Franco: Nella selezione dei brani all’inizio erano presenti canti abruzzesi come “Nebbi alla Valle”, “Tutte le funtanelle” o “Vola vola” e persino la pugliese “Pizzica de lu Santu Paulu”, ma sinceramente abbiamo ritenuto che la voce di Raffaella fosse per timbro e per interpretazione lontana da questi contesti. Poi la corretta dizione nei brani dialettali è parimenti importante, ma non è stato l’unico motivo…

Raffaella: Abbiamo lasciato da parte qualche monferrina e altre ballate settentrionali che suonavano in qualche caso troppo scontate e con testi meno interessanti. Diverso invece il discorso per la musica napoletana che io adoro, ma ritengo che solo un vero napoletano possa rendere al meglio; e prova ne è che i grandi interpreti di questa tradizione restino insuperabili.

Nelle note di copertina dite di esservi posto “l’obiettivo di riscoprire melodie che, più di altre, avessero elementi di autenticità”. Le fonti da cui avete attinto vanno dalle registrazioni sul campo di Diego Carpitella alle ricerche di Roberto Leydi, dai documenti a stampa alle reinterpretazioni di musicisti di folk revival. Qual è in definitiva la vostra idea di autenticità della musica tradizionale italiana?

Franco: Sai che nel corso degli anni la musica tradizionale subisce continue modificazioni, per cui non è molto facile a volte risalire alle versioni originarie. Il concetto di autenticità è quindi oggettivo, non soggettivo. Attraverso vecchie registrazioni o notazioni monofoniche su pentagramma, sono partito da quella che presumibilmente poteva essere la melodia originaria per poi sviluppare l’arrangiamento.

Tra le varie influenze del canto contadino, del tradizionale canto domestico femminile, del canto lirico e del canto dei folksinger e singer-songwriter, come si è definito il canto di Raffaella in questo contesto?

Franco: Raffaella in questo contesto interpreta alcuni canti della nostra tradizione e l’unico mio suggerimento è stato quello di invitarla a cantare in maniera semplice e naturale, lasciando da parte contesti da folksinger stranieri o cantautoriali. Penso che le qualità vocali e timbriche di Raffaella diano a questi canti un tocco dolce e raffinato, che spero risulti lontano da certe influenze straniere o da facili richiami easy listening.

Raffaella: Questo contesto di canti tradizionali è molto diverso dagli altri ambiti da te citati. Concettualmente risalgo con la memoria a quando nelle feste si intonavano i canti del nostro territorio, della nostra famiglia e della nostra tradizione. Il canto si autodefiniva per appartenenza e non per emulazione di qualche altro cantante. Si intonavano canti di estrazione e significato diversi, per cui alternare tradizioni ad arie del bel canto faceva parte del nostro modo di vivere la musica.

Sono presenti diverse ballate provenienti dalla storica e fondamentale raccolta dei Canti popolari del Piemonte di Costantino Nigra, che a loro volta fanno spesso riferimento al repertorio delle English and Scottish Popular Ballads di Francis James Child. In questa relazione si possono individuare le possibilità di dialogo dei canti popolari italiani con un più vasto corpus della tradizione europea e americana?

Franco: Sicuramente la musica, nel suo migrare acquisisce diverse contaminazioni e possono esserci diverse analogie. Già l’arpista bardo O’Carolan, durante il periodo di Vivaldi, prendeva a modello alcune sonate di Geminiani. La musica del Norditalia, in qualche modo, è uscita fuori confine. Ma le arie e le ballate inglesi, scozzesi e aggiungerei irlandesi hanno similitudini quasi unicamente nella struttura. Le nostre canzoni hanno melodie derivate da scale maggiori o minori; invece nella musica delle isole britanniche troviamo melodie derivate da modi dorico, misolidio e così via. Anche a livello ritmico, sebbene ci siano tempi in comune, accenti e figure ritmiche risultano diverse.

Alcuni dei gruppi italiani di revival da cui avete tratto ispirazione, come la Piva dal Carnèr e il Pivari Trio, fanno riferimento all’antica piva dell’Italia settentrionale, che è simile a cornamuse come il biniou bretone. Anche questo mi sembra un elemento importante, che caratterizza il Norditalia come antica area ‘celto-romanza’.

Franco: Per storia, forme e contenuti, la tradizione dell’Italia settentrionale risulta molto diversa da quella dell’Italia meridionale. Ma in qualche caso penso ci sia stata anche una mancata crescita, o una progressiva perdita di certi elementi. Pensa alla zampogna abruzzese a confronto con le altre pipes che citi: è da sempre confinata al solo repertorio delle novene natalizie. E comunque il dato da sottolineare è che spesso da noi è mancato un ricambio generazionale, di musicisti che riprendessero l’arte della generazione precedente. Una mancata evoluzione o in certi casi non completa. Certo al Nord, anche per la presenza di altre culture confinanti, penso ci siano stati più confronti e contatti.

Ne “La fiola del paisan” c’è una parte di chitarra suonata con il plettro, che mi sembra richiamare molto lo stile e le sonorità del tradizionale dulcimer appalachiano, a sua volta memore dell’antica ‘cetra delle Alpi’. Come mai questa scelta? Ci potrebbe essere anche l’evocazione di alcune ‘canzoni che amate’, magari di Joni Mitchell?

Franco: E’ stato lo stesso ritmo del pezzo che mi ha portato a questo accompagnamento, che ritmicamente imprime un forte incedere a tutto il brano. Mi sembra più in stile celtico, ma poi  è ovvio che le esperienze che hai maturato fino a questo punto saltino fuori in qualche modo. Amiamo Joni Mitchell, quindi è possibile che ci sia qualche collegamento inconscio. Ma il modo di accompagnare le canzoni e le ballad sull’acustica, penso che da sempre abbia più a che fare con il dulcimer e la cetra che con la chitarra classica, ad esempio.

In uno stile chitarristico che in questo disco mi sembra fare riferiemento soprattutto al bagaglio ‘celtico’ di Franco, emergono naturalmente anche altri elementi: per esempio in “Bella ciao” ci sono dei tratti bluesistici e dei sofisticati passaggi cromatici discendenti nella parte armonica.

Franco: Ho ascoltato diverse versioni di “Bella Ciao”. Avevo voglia di farne una che staccasse da certi chiché. Beh, in fondo è l’unico brano dove il basso alternato calzava alla perfezione. Di seguito anche alcune pronunce blues dell’accompagnamento mi suonavano bene. Mi piace molto quel passaggio discendente cromatico che penso non sia presente in nessuna delle versioni precedenti. Anche se si parte dal dato originario, va sempre a finire che si aggiungono elementi a discrezione dell’esecutore. Penso sia un buon modo per dare nuova linfa a questo repertorio.

Nelle parti in ‘parlando-rubato, come in “E quei briganti neri”, l’accompagnamento di chitarra tende a mantenere un fitto sottofondo ritmico, che mi fa pensare al modo di accompagnare di Pete Seeger con la dodici corde. Qual è l’approccio di Franco al riguardo?

Franco: Alla fine era l’unico accompagnamento che funzionava per questo brano, e certo non pensavo a Pete Seeger quando l’ho scritto, ma è curioso che ci siano punti di contatto da storyteller. Nell’economia di un CD di sola chitarra e canto, sono stato attento nel cercare di non ripetermi e trovare soluzioni diversificate, anche tra sezioni diverse di uno stesso brano. In questo senso in “Briganti neri” mi sembra che questo arpeggio fitto e incalzante della strofa prepari in maniera abbastanza naturale al ritornello.

Vi sono pochissime sovraincisioni di chitarra in questo disco, tra le quali spicca l’assoli finale di “Rusinot”: un’apertura verso il rock acustico?

Franco: Era una base di accordi sulla quale non ho saputo resistere, come se in qualche modo lo stesso brano me lo avesse richiesto! Come arrangiatori non facciamo altro che inserire dentro questi brani frammenti della nostra sensibilità. Il commento più bello per Italian Fingerstyle Guitar è senz’altro quello di aver ridato una nuova giovinezza a quei brani tradizionali. Spero che Canti lontani riesca nello stesso intento, cioè quello di far sentire ancora attuale questo repertorio.

Come mai avete messo in relazione una delle più classiche ballate, come “Ameme mi dona lombarda”, con la versione di due cantanti come Sergio Endrigo e Mia Martini?

Franco: Sai che “Donna lombarda” vanta più di trecentocinquanta versioni diverse, sia nel testo che nella melodia. Avevo poi già registrato una versione strumentale in Italian Fingerstyle tratta da un testo di Roberto Leydi. Raffaella mi ha proposto questa versione leggera, con un testo breve e un incedere dolce e malinconico. All’inizio ho avuto qualche perplessità, ma con il nuovo arrangiamento tutto ha funzionato.

Raffaella: A me piaceva molto il testo della versione di Endrigo, perchè evitava di narrare tutta la storia del serpentino con relativo avvelenamento del marito. In questo caso abbiamo preferito sottolineare il significato della storia di questo amore impossibile, tra un giovane e una giovane donna andata in sposa ad un uomo anziano.

Anche se sono innegabili i rapporti tra la grande opera italiana e il mondo popolare, lo stile del canto operistico mi sembra sempre molto distante dallo stile in qualche modo ‘naturale’ del canto popolare tradizionale. Che significato ha avuto per voi l’inserimento dell’aria “Babbino caro” dal Gianni Schicchi di Giacomo Puccini?

Raffaella: L’inserimento di questo brano nel CD ha per me un valore personale, quasi intimo direi, perchè è una dedica a mio padre che mi ha iniziata al canto da piccolina. Quindi mi sento molto legata a questa traccia. Poi, per quanto Franco all’inizio storcesse un po’ il naso, ha poi trovato un arrangiamento per chitarra che risulta diverso da quello classico.

Franco: Penso che sia la prima volta che in un CD di musica tradizionale si interpreta un’aria del bel canto! In passato sappiamo che fattori tecnici e mentali hanno rappresentato rigide barriere di separazioone tra musica colta e musica popolare. E’ una trasgressione, la nostra, che da un lato non relega il CD dentro rigidi schemi. Il problema è che la cultura dominante ha da sempre posto questi due generi su due gradini diversi. E poi, visto che nei fatti la musica colta ha attinto a piene mani al repertorio popolare, penso che queste arie abbiano più elementi extracolti di quanto si immagini. Da sempre c’è stata una continua rielaborazione di elementi popolari nella musica colta, solo che questo non è stato mai detto nei libri per ovvie ragioni. Molti dei principali cambiamenti stilistici nella storia della musica sono avvenuti attraverso la musica popolare. Diverse pagine della storia musicale, secondo me, andrebbero riscritte tenendo conto di questa innegabile verità.

Verrà pubblicato un album di spartiti di Canti lontani nel tempo?

Franco: Tutto è in fermento nel mondo editoriale, stiamo valutando alcune proposte.

Facciamo anche un  cenno alla recentissima pubblicazione dell’album di spartiti di Franco, 10 Original Compositions con CD allegato, un’altra raccolta antologica a solo un anno di distanza dal precededente CD Back to My Best. Con quali criteri hai scelto questa nuova selezione di brani che si differenzia totalmente dalla precedente?

Franco: Quando Reno Brandoni mi aveva parlato di questa collana delle 10 Original Compositions edita da Fingerpicking.net, ero già all’opera con Back to My Best, quindi mi sono ripromesso che avrei messo in cantiere quanto prima un nuovo libro. Ci tenevo a pubblicare questa raccolta perché ci sono brani che non sono stati mai punbblicati in Italia, tratti dai CD Stranalandia, Guitàrea, Melodies of Memories e Running Home. Il criterio di selezione è stato quello di scegliere le tracce che più di altre potessero essere rappresentative e, allo stesso tempo, meno complesse da suonare.

Anche in questo caso, come hai fatto in Back to My Best, hai ri-registrato e rivisitato le tue composizioni con l’esperienza di oggi?

Franco: Ho rivisitato gli spartiti migliorando grafica, diteggiatura e notazione musicale. Per quanto riguarda le tracce sui CD, ho rimasterizzato il materiale nel mio studio.

Cosa vi riserva il vostro prossimo futuro, sia singolarmente che insieme?

Franco: Ci sono un paio di progetti per dei nuovi libri, un secondo volume di Celtic Fingerstyle Guyitar e un mio nuovo CD di brani originali. La voce di Raffaella sarebbe anche molto adatta a interpretare qualcosa di Celtico, vedremo più avanti…

Nella già citata intervista Franco raccontava: “Raffaella diventa ogni giorno più brava con il canto, ma anche con la chitarra, devo dire. Sai che suona tutti i brani del Basic e qualcosa anche del Celtic?” Ci possiamo aspettare una prossima Raffaella cantante e chitarrista?

Raffaella: Fin da ragazzina ho cantato e suonato la chitarra. Ma con Basic e Celtic Fingerstyle devo riconoscere che la mia tecnica fingerstyle è cresciuta in modo esponenziale. Però, da qui ad esibirmi in pubblico ci vorrà del tempo e, comunque, per ora preferisco farlo in forma privata. In ogni caso, molti appassionati riconoscono a Franco il merito di aver loro permesso di riscoprire, attraverso i suoi libri, la passione per la chitarra acustica. Detto da me suona come un giudizio di parte, ma è la pura verità.

Franco: Mmh, no comment, ma se ci vieni a trovare convincerò Raffaella a suonare qualcosa!

Per concludere, Franco, ci puoi aggiornare la situazione della tua strumentazione?

Franco: Per i concerti continuo ad usare una chitarra costruita da Rod Schenk. Ha un manico molto sfinato dietro, quasi da chitarra elettrica, molto comodo quindi. E’ elettrificata con un magnetico Sunrise alla buca e con un microfono a contatto sotto il ponte; entrambi vanno su un pre interno alla cassa, che poi si collega a un secondo pre esterno. Il sistema è stato progettato da un ingegnere giapponese e costa quanto una chitarra di liuteria… Come ampli sto provando il nuovo Acus, un marchio italiano che si sta facendo strada anche all’estero. Come corde continuo ad usare le Elixir Nanoweb light e medium a seconda delle accordature utilizzate.

CHITARRE N. 273 – di Mario Giovannini

SONGS WE LOVE – Intervista a Franco Morone e Raffaella Luna

2007 - Seattle, Usa - foto di Rod Schenk

2007 – Seattle, Usa – foto di Rod Schenk

Naturalmente vorrei cominciare parlando di Songs We Love: com’è nata l’idea del vostro disco e come avete scelto i brani da inserire?
Si tratta di brani che in qualche modo sono legati alla nostra generazione. Insieme, gradualmente, abbiamo trovato una strada comune per l’interpretazione. Sebbene io abbia studiato canto lirico, ho sempre cantato anche cose diverse. Con Franco ho subito trovato un punto d’incontro, di quelli che si percepiscono quasi per magia e sprigionano una forte carica positiva. Cose che ti accorgi subito che vale la pena condividere.

L’impostazione classica della voce si sente, in alcuni brani è quasi prepotente..
Sono nata in una casa dove si faceva molta musica. Ci si trovava a cantare, una tradizione sia per nonno materno che paterno. Una famiglia numerosissima la mia, mamma Dusolina, ultima di tredici figli, papà Giulio, quarto di sei; io ho tre fratelli, Gianni, Amerigo e Marzio. Ci riunivamo per cantare tutti assieme, soprattutto brani popolari. E io venivo sempre coinvolta, malgrado la mia timidezza e fossi la più piccolina. Ma devo dire che mi è servito molto, è stato fondamentale per prendere confidenza con la voce. Ma non c’era nessuna preparazione dietro, sono sempre andata ad orecchio. La voglia di studiare seriamente è venuta in un secondo momento, incoraggiata anche da alcuni maestri che mi hanno saputo aiutare molto. Anche per capire cosa succede ‘dentro’ quando si canta.

Tornare alla canzone ‘pop’ ti ha obbligato in qualche modo a cambiare il tuo modo di cantare?
No, è stato assolutamente normale. Si tratta di cambi di registro, ma la tecnica è la stessa. In ogni caso c’è sempre stata molta musica nella mia vita, con una grande passione per i chitarristi, anche prima di incontrare Franco. John Fahey, Leo Kottke, John Renbourn e tanti altri mi hanno accompagnata per molti anni. Sono cose che lasciano un segno..

Vogliamo parlare un po’ dei tuoi brani originali?
Vedo che conosci bene il disco!

Devo confessarti che staziona nel lettore cd della mia macchina da parecchio. E non è una cosa che mi capita spesso. Si sente tutta la cura che ci avete messo, in cui c’è poco o nulla di lasciato al caso.
E’ stata un’esperienza importante, direi fondamentale. Scrivere canzoni può essere facile o difficile, molto dipende da come ci si sente. Anche se credo che sia dai momenti più difficili che escono le cose migliori. Alla fine abbiamo deciso di inserire nel cd “Roses, Skies Blue”, “La Nuit” e “Il Tempo Per Noi”, su cui Franco, traendo spunto dalle mie versioni originali piuttosto rudimentali dal punto di vista chitarristico, ha lavorato con la sua sensibilità impreziosendo la melodia con arrangiamenti stupendi. Spero, comunque, di continuare a lavorare in questa direzione, con belle melodie e testi con significati che vadano oltre la semplice canzone da intrattenimento; per brani che valga la pena interpretare. Perchè il risultato è una soddisfazione enorme. La perfezione nella musica è importante, ma quello che cerco è soprattutto l’intensità interpretativa e le emozioni che si possono trasmettere. E, sinceramente, con i primi concerti abbiamo ricevuto un grande riscontro di critica e di pubblico.. Per me questo disco rappresenta veramente un sogno che diventa realtà, una tappa importante della mia carriera. Che, del resto, non è iniziata con questo disco, ma è partita da lontano attraverso l’incontro con Franco con cui ho condiviso moltissime esperienze. Non solo prove, registrazioni e concerti, ma anche seminari, workshop, i tanti viaggi per arrivare nei luoghi dei concerti, contatti con persone meravigliose che, oltre a questa passione, in comune hanno una sensibilità e una scala di valori difficilmente riscontrabile in altri contesti.

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